Agenda 2030 e Alimentazione sostenibile

Straordinari i risultati di processo conseguiti dall’attività NWQ facilitata dalle maestre Viviana e Ilaria in una classe terza. Dalla narrazione di Viviana si apprezza, tra l’altro, come una didattica già strutturalmente learner-centered, sfidante e capovolta sia esaltata dall’impiego della metodologia didattica in questione e come i risultati trasformativi si estendano a una comunità allargata.

     « Ho sempre pensato che il compito prioritario della scuola consista nel fornire ai cittadini adeguati strumenti per progettare tanti futuri possibili, in un’ottica ‘evolutiva’ e plurale, non appiattita sul pensiero dominante, spesso funzionale all’interesse di pochi. Ciò è però limitativo se coinvolge i soli discenti e non l’intera comunità. La concezione della comunità educante l’ho sempre considerata nevralgica, in quanto capace di tamponare tanto i fenomeni di atomizzazione sociale quanto la tendenza all’analfabetizzazione funzionale consolidatasi negli ultimi vent’anni o più.

     Da poco nel mondo della scuola, sono entrata in ruolo lo scorso anno, prendendo in consegna i bambini di otto anni di una classe seconda, attuale terza. Per me, è il luogo in cui si ricerca il senso profondo delle cose. Altrimenti, queste non hanno motivo di essere conosciute.

     Da subito, ad esempio, ho indagato insieme ai bambini l’etimologia delle parole. Il significato è insito nella parola stessa e nel suo uso. Attraverso la radice, si può risalire al termine originario e quindi ricavare tutti i significati delle parole derivate dalla medesima radice. Ogni elemento ha un suo percorso, una sua vita e vale la pena conoscerne tutte le fasi.

     Qualsiasi argomento affrontato in Storia è stato accompagnato da momenti di ricerca delle fonti, dalla loro analisi, da lunghi percorsi esperienziali intessuti di laboratori e discussioni. I bambini sono stati quindi archeologi, storici e – perché no? – avventurieri.

     Si è fatta molta filosofia: ci si è interrogati su grandi questioni come il tempo, la vita, il bene e il male. L’elemento speculativo l’ha fatta da padrone, aiutando i bambini a muoversi con sicurezza e con un buon grado di autonomia anche nell’esperienza in questione.

     I ‘laboratori del futuro’, infine, ci hanno permesso di immaginare gli scenari mondiali possibili in base alle scelte che opereremo da oggi ai prossimi dieci anni. Senza buone visioni, non si può essere dei buoni visionari.

     Il corso di formazione sulla metodologia NWQ e il contestuale percorso intrapreso con gli alunni sono stati, per me e la mia collega, un’occasione per provare ad ‘accendere’ il meccanismo che mette in moto le dinamiche alla base delle comunità creative, per definizione comunità consapevoli. Il percorso metacognitivo ed euristico che ne sono scaturiti sono stati una sorpresa anche per me. Da cosa partire?

     Il primo passo è stato scegliere il tema. L’alimentazione sostenibile ci è sembrato da subito ideale e attuale, per diversi motivi.

     In primis, ispirate dall’Agenda 2030, abbiamo ragionato sul fatto che l’alimentazione sostenibile è una delle chiavi per costruire un’alternativa idea del mondo.

     In secundis, osservare i bambini a mensa è stato per noi illuminante: molti lasciavano gli alimenti nel piatto senza neanche assaggiarli o cercare di capire cosa fossero realmente; molti esprimevano in modo plateale il rifiuto per il cibo, ruotando addirittura la sedia, come a voler dare le spalle al piatto stesso. Antropologicamente parlando, l’interpretazione dei gesti era inequivocabile.

     Con la collega abbiamo dapprima pensato di affrontare l’argomento con i bambini, indagando le ragioni profonde di questo atteggiamento. Scopo delle prime esperienze in brainstorming era intercettare le emozioni legate al rapporto individuale col cibo. È emerso qualcosa di allarmante. Alla domanda ‘cosa vuol dire, per te, mangiare?’, il 90 % dei bambini manifestava subito un senso di disagio. Parlare di alimentazione non è sembrato piacevole per molti, tant’è vero che si sono espressi in riferimento al ‘momento di mangiare’ in termini di una costrizione, di qualcosa di noioso o di piacevole solo se espletato nei fast food o davanti alla TV, meglio ancora se non troppo impegnativo da portare alla bocca. Qualche bambino vedeva il cibo come un nemico, capace di ‘fare ingrassare’ o addirittura di ‘indurre malessere fisico’.

     Dall’osservazione a merenda, è poi emerso che per molti – soprattutto quelli con snack o salatini – il cibo era una sorta di gioco da manipolare, schiacciare, scambiarsi, cestinandone metà alla fine.

     Il quadro era allarmante: mancava una profonda consapevolezza alimentare. Senza di essa, era difficile arrivare a parlare di sostenibilità. Poi l’illuminazione. E se invece di partire da un mero percorso di educazione alimentare fosse proprio il percorso sulla sostenibilità alimentare a offrire la consapevolezza e le conoscenze adeguate sull’alimentazione stessa?

     Così abbiamo iniziato a lavorare in classe. Abbiamo scelto di discutere in circle time, almeno nella fase incipiente, ogni giorno per almeno un’ora, per far emergere le emozioni recondite legate al rapporto con il cibo e con il mondo circostante. Nella fase puramente conoscitiva, è emersa una scarsa familiarità con gli alimenti: frutta e verdura quasi sconosciute, carne percepita indistintamente (bianca, rossa, pesce) come qualcosa di ostile e faticoso da mangiare. Per il senso comune, la maggior parte dei cibi veniva prodotta direttamente nei supermercati. In fin dei conti, il cibo è per i bambini – e non solo – un prodotto qualsiasi da acquistare.

     Abbiamo così iniziato il percorso interdisciplinare parlando di produzione naturale. Mentre la collega si è occupata, in scienze, del ciclo produttivo, ricollocando il cibo dalla sfera economica a quella originaria, io sono stata pervasa da un dubbio: basta far conoscere la natura di una cosa per poterla interiorizzare come ‘concetto amico’? La produzione di massa ha standardizzato la storia di ciascun prodotto, svuotandolo di qualsivoglia significato e facendolo percepire come qualcosa di alieno e lontano. Il cibo non solo ha una sua storia, ma è nella Storia. Così ho scelto di trattare la preistoria, partendo dalle varie fasi dell’economia di sussistenza. In Italiano, si sono consultati molti testi che toccavano l’educazione alimentare. In Inglese, abbiamo appreso le abitudini alimentari dei paesi anglofoni, anche nel contesto di lezioni CLIL sull’educazione alimentare (What’s Healthy/What’s Unhealthy). Nella prima fase il percorso si è dunque incentrato sulla conoscenza delle dinamiche legate alla materia prima e al cibo. Le singole discipline sono diventate fluide, mescolandosi.

     Ai bambini è stata prospettata l’opportunità di creare un prodotto finale da mettere a disposizione della comunità scolastica. Tra le numerose proposte avanzate, si sono scelte la piramide della sostenibilità e un gioco da tavolo. Abbiamo deciso di coinvolgere le famiglie, cui sono stati illustrati il progetto e le fasi essenziali della metodologia NWQ. Queste hanno risposto con entusiasmo. Due genitori si sono subito offerti come facilitatori. Con i bambini, si è dunque deciso come operare a casa.

     Si è stabilito che il primo incontro avvenisse in modalità flipped learning. Dopo aver ragionato sul fatto che la piramide da costruire dovesse essere un monito per scelte alimentari quanto più sostenibili possibile, gli stessi bambini hanno deciso gli argomenti su cui focalizzarsi. Gruppo 1: ricerca sull’impatto dei pesticidi sull’ambiente e sugli esseri viventi, in particolare le api; gruppo 2: una serie di ricerche sull’inquinamento delle acque e i conseguenti danni colturali.

     Tornati in classe, i bambini hanno illustrato le notizie ricavate a casa con la ricerca web-based, elaborando testi e cartelloni. Io e la mia collega in questa fase siamo ‘scomparse’, trasformandoci in discenti e lavorando insieme al gruppo classe rispettando le indicazioni dei gruppi di lavoro.

     Dai video dei diari di bordo è emerso che i bambini si sono immediatamente organizzati in totale autonomia, dividendosi i compiti e proseguendo la ricerca senza il supporto dei genitori, anche se presenti. Negli incontri successivi di progettazione dei prodotti finali, i genitori hanno supportato la parte più ‘tecnica’ (riportare su carta, in scala, la piramide; ragionare con i bambini su come realizzarla praticamente), mentre la definizione della piramide (cosa scrivere e come scriverlo) è stata concertata direttamente dai bambini. Questi hanno riferito che a volte i genitori sono stati percepiti come elemento di disturbo alla loro concentrazione. Dai diari di bordo è emerso un momento di merenda che i bambini hanno percepito come imbarazzante: la tavola era imbandita di fritti e bibite gassate. Evidentemente gli adulti non erano ancora entrati appieno nel processo.

     Se nell’attività non si sono sempre prodotte le ottimali dinamiche di una comunità creativa di ricerca NWQ tripolare (bambini-genitori-insegnanti), va sottolineato che gli incontri sono stati una notevole occasione di socializzazione per i genitori, che in conclusione hanno dato un apporto pienamente positivo. Decisamente notevole è stato poi il coinvolgimento della famiglia allargata (nonni).

     Con la collega, abbiamo organizzato due incontri con esperti esterni: un incontro, appunto, con i nonni, che ha coinvolto l’intero plesso, e un incontro con Legambiente.

     La storia del cibo, più vicina a noi, è una storia di povertà, semplicità e travaglio. I nonni, con i loro racconti, hanno emozionato e commosso i bambini; una si è alzata per abbracciare teneramente la nonna più anziana. È stata un’esperienza fortemente empatica. A partire da quel momento, la parola “spreco’ e la frase ‘non mi va’ hanno assunto un diverso significato. Il giorno stesso, a mensa, pochissimi bambini hanno lasciato il cibo nel piatto.

     L’incontro con Legambiente, ad aprile, quando ormai avevano maturato molte conoscenze sulla sostenibilità alimentare, è stato per i bambini un momento di orgoglio. Le esperte sono rimaste piacevolmente sorprese dal grado di consapevolezza raggiunto dai ragazzi, offrendo un importante riscontro sul fatto che qualcosa fosse davvero cambiato.

     All’inizio del percorso avevamo affrontato, analizzandole in modalità SWOT, alcune questioni: produzione di un vasetto di yoghurt; confronto tra una spremuta di arance biologiche a Km 0 e una spremuta biologica in tetrapack; confronto tra “la torta della nonna’ e i prodotti confezionati del supermercato (snack e dolci vari). Se a gennaio i bambini erano ancora fermamente convinti che lo yoghurt fatto con il latte proveniente dal Trentino, la spremuta in tetrapack e le merendine fossero più ‘vantaggiose’, in quanto si potevano consumare nell’immediato, senza “perdere del tempo’ a prepararle, e che quindi l’impatto ambientale fosse ‘sopportabile’, a fine percorso, ripetendo l’analisi SWOT, le considerazioni erano ribaltate. In base al principio di sostenibilità, erano necessarie scelte diverse. Gli acquisti dovevano essere consapevoli, tenendo conto della stagionalità, delle informazioni riportate dalle etichette e dell’impatto degli imballaggi.

     Delusa dal fatto che la comunità creativa non si fosse allargata come inizialmente auspicato, visto che i bambini stessi chiedevano realizzare il prodotto in classe in maniera più efficiente, senza l’elemento ‘disturbante’ dei genitori, ho ricevuto inaspettate soddisfazioni. Illuminante è stato il colloquio con un genitore. Mi ha riferito che i bambini hanno progressivamente costretto le famiglie a cambiare le proprie abitudini alimentari. I genitori si sono spesso consultati per capire se i suggerimenti dei figli avessero un fondamento. Insomma, la comunità creativa di ricerca allargata si era prodotta lo stesso, attraverso dinamiche impreviste.

     A fine anno, parlando di nuovo con i bambini del loro rapporto con il cibo, è emerso un grande cambiamento. Il cibo era percepito come amico. Anche chi non toccava nulla a mensa, ha iniziato a mangiare. La consapevolezza più importante maturata: cercare cibo vero, non cibo stuzzicante.

     I prodotti finali sono stati: 1. la piramide della sostenibilità; 2. un gioco di società sull’alimentazione, da fare in palestra o all’aperto; le pedine sono gli alunni stessi, di volta in volta posti davanti ad una scelta; se sostenibile, si avanza. Una metafora drammatizzata del futuro sostenibile e di uno scenario di armonia tra tutti gli esseri viventi. Il prodotto vero e proprio è stato però lo stesso processo: il cambiamento alimentare consapevole degli alunni e delle loro famiglie.

     Se si vuole costruire una società nuova, bisogna pensare ad una scuola nuova, che costruisca ‘occhi nuovi’ » .